martedì 17 settembre 2013

Intervista a Motus: Enrico Casagrande e Daniela Nicolò

Hanno da subito colto l'importanza di considerare l'arte come espressione multidisciplinare. I Motus, compagnia teatrale di Rimini, nata nel 1991 da un'idea di
 Enrico Casagrande e Daniela Francesconi Nicolò,
sono riconosciuti in tutta l'Europa per la loro originalità e qualità nella realizzazione di spettacoli. Anche loro protagonisti ad Insieme fuori dal fango, ci spiegano la loro visione artistica.


Resistenza e resilienza. Come ci aiutano a superare la crisi culturale?

Non c’è efficace resistenza, senza intrinseca capacità di resilienza, di trarre dall’evento traumatico, dal dissesto o da una ingiustificata violenza subita o prolungata nel tempo, forze inattese per continuare e soprattutto scoprire “altre forme” di adattamento, scatenate proprio dal confronto-scontro con la situazione distruttiva. Non si tratta solo di “resistere e andare avanti a tutti i costi” adattandosi, ma proprio della capacità di elaborare l´esperienza nata da situazioni difficili per costruire “un altro futuro”. Ed è possibile mantenendo un’attitudine dinamica, flessibile, rispetto al proprio spazio e tempo: se ci si irrigidisce e arrocca sul già fatto, di fronte allo stato di perdita di certezze a cui la “crisi culturale” attuale induce, la rigidità di una resistenza per “indurimento” e scontro o per “protezione” rischia di creare corazze che possono far implodere ogni spinta creativa. Essere invece capaci di resilienza è un po’ il processo contrario, è lasciarsi attraversare dal vento delle “tempeste”, per studiarne le leggi biodinamiche e inventare possibilità di utilizzo in direzione “ostinata e contraria”.

Come definireste il vostro modo di fare teatro?

Il nome Motus lo sottende già in sé: è una forma di trasmutazione dinamica, incessante, delle forme e dei linguaggi, un’attitudine “strabica” a guardare alle esperienze-saperi-opere del passato per arricchire l’arsenale strategico di reinvenzione del presente. L’immagine-azione che crea Silvia Calderoni/Antigone all’inizio dello spettacolo Alexis - una serie di piegamenti flessibili e concitati contro al vento antico - ne è sinonimo: un giunco che non si spezza ma si adatta con l’oscillazione e assume sempre nuove forme. Ancora un segno di resilienza.

Quali sono le lotte di vita quotidiana che la vostra arte vuole evidenziare?

Segnalare desideri che non si fermino alla sopravvivenza ma che tendano alla “vita buona” per citare Judith Butler, che amiamo… L’abbiamo fatto nel nome di Antigone, ad esempio, per dare voce a chi
« è diventato senza-nome, o quando il proprio nome è stato sostituito da un numero, o ancora quando non si è degni di essere chiamati in nessun modo». Ci stiamo provando ora entrati “Nella tempesta” per affrontarla: se il potere delle onde non si governa, è forse più importante ricorrere all’astuzia fisica del serfare fra esse e saper lavorare con l’onda… lasciarsi trasportare per poi fronteggiarla, in solitudine o fabbricando scialuppe. Costruendo insieme per meglio contrastare nuovi tumulti, più livelli di scompiglio e tante altre tempeste, sia sul piano individuale che di sistema. E il teatro, proprio per la sua intrinseca natura comunitaria, può e deve essere riconsiderato casa-base di queste tensioni.

La proposta di Daniela Nicolò e di Enrico Casagrande per salvare la cultura dal fango.

Prima di tutto domandarsi: io ho forza sufficiente per emergere nel campo del possibile? Se sì, devo poter dare seguito a qualunque risposta ne derivi, e poi decidere Come stare in quel campo, in solitaria o cercando relazioni. Essere ben consapevoli che la vita artistica si staglia in un tessuto relazionale più vasto, che è piagato dal dominio, dalle gerarchie di potere, che tendono a separare i corpi, soprattutto in un momento di crisi. La parola stessa Crisi deriva dal latino crisis, (gr. Krísis) e significa "scelta, decisione”. Uscire dal fango è allora, e innanzitutto, un atto di volontà, che non può materializzarsi se non è condiviso: perché è proprio « in condizioni di minaccia estrema, che le persone compiono tutti i gesti possibili di supporto reciproco». Fare dunque tesoro della propria vulnerabilità per guardarsi attorno e cercare strategie comuni, sempre affilando i coltelli della critica radicale verso tutte le forme di “cattura” che “La società dello spettacolo” mette in atto per sedare le spinte antagoniste. E soprattutto avere coraggio di essere se stessi.

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