martedì 17 settembre 2013

Intervista a Celeste Costantino

Diritti delle donne, questioni di genere, legalità, precarietà. Sono i temi principali delle battaglie di Celeste Costantino, giovane componente della Presidenza nazionale di Sinistra Ecologia e Libertà. E la cultura è un settore che non considera secondario rispetto ai suoi impegni politici. Lo conferma con le risposte che ci ha rilasciato.

Resistenza e resilienza. Come ci aiutano a superare la crisi culturale?

Sono tutti bravi, in campagna elettorale, a sottolineare temi culturali e salvaguardia del
nostro patrimonio archeologico: ma alle parole non sono mai seguiti i fatti. Ed è così da venti anni, purtroppo. Basta pensare a quell'1,1% di spesa pubblica destinata alla cultura, cifra molto bassa, circa la metà della media europea, che ci fa essere fanalino di coda in Europa.

Eppure con quel minuscolo 1,1 generiamo circa il 5,4% della ricchezza prodotta, ovvero 75 miliardi di euro. Nel mondo della cultura lavorano un milione e quattrocentomila persone, il 5,7% degli occupati, che con la cultura ci "mangia", secondo studio Symbola/Unioncamere.

Se includiamo settori dell'indotto come il turismo legato alle città d'arte, il valore aggiunto prodotto dalla cultura schizza dal 5,4 al 15.3% del totale dell'economia nazionale. Insomma cifre che sottolineano un'evidenza: il valore aggiunto prodotto dalla cultura ha un effetto moltiplicatore senza eguali, attivando altri comparti dell'economia.

Questi sono solo freddi numeri, mi rendo conto. Ma la resistenza e la resilienza entrano in gioco proprio da quel modesto 1,1%. In questi anni sono stati i Teatri occupati a fare i cartelloni, attivandosi nel campo delle attività e contribuendo alla creazione e alla diffusione dei saperi. Alcune realtà hanno svolto un ruolo di supplenza nei confronti dello Stato. Oggi con politiche mirate, partecipate e condivise possiamo valorizzare il network che comprende musica, teatro, audiovisivo, editoria. Una rete di artisti che parta da un principio semplice per il futuro: la cultura è un bene comune.

Come si costruisce la cultura della legalità?

La legalità era un concetto altissimo, fatto di rivendicazione di diritti, di educazione civica, di partecipazione democratica. Ma in questi decenni è stato svilito: la legge è stata piegata agli interessi di pochi, rendendo "legali" comportamenti e abitudini che non lo sono affatto. Penso ai limiti riguardo alle leggi sul concorso esterno in associazione mafiosa, sulla certificazione antimafia delle imprese, sulle difficoltà nel dimostrare il voto di scambio, sui reati delle ecomafie non ancora previste nel nostro codice penale con una piccola eccezione (traffico internazionale di rifiuti).

Bisogna continuare la riflessione sulla giustizia sociale, piuttosto. La legalità non basta più. Sull'antimafia penso che bisogna superare i personalismi e consolidare una rete di associazioni e movimenti. In un tessuto sociale che sta vivendo una crisi non solo economica, ma di diritti che vengono calpestati e negati. Una condizione eccellente per la pervasività delle mafie che dall'unità d'Italia ad oggi sono sempre state più organizzate dello Stato, da Sud a Nord. La sfida è sempre più grande, perché sono diventate più grandi le reti criminali e si rafforzano sempre di più le economie della 'ndrangheta, camorra, cosa nostra e sacra corona unita.

Quali garanzie deve offrire la politica ai giovani che vogliono investire nell’impresa culturale?
Credo che le agevolazioni, gli incentivi, i prestiti d'onore siano le migliori strade da seguire riguardo alla creazione di nuove imprese giovanili. Penso però che lo Stato debba essere vicino a tutte le imprese (non solo a quelle dei giovani). Con politiche che possano servire allo sviluppo e alla crescita delle aziende. Mi riferisco ad una vera riforma che elimini la burocrazia inutile, che continui con intelligenza la via delle privatizzazioni, che aggredisca i monopoli e finalmente garantisca la concorrenza. Poi c'è il grande tema del reddito minimo garantito, che può riguardare anche i giovani imprenditori. Penso alle partite iva (monocommittenza), ai lavori saltuari e precari, alle startup che hanno bisogno di periodi di gestazione. È una proposta decisamente più ampia che può essere utile in questi casi: la continuità di reddito è l'unica maniera per sottrarsi alla ricattabilità del mondo del lavoro e dell'impresa.

La proposta di Celeste Costantino per salvare la cultura dal fango.

Oltre quello che ho specificato nelle tre domande precedenti, penso che il futuro della cultura italiana passi dai territori. Spesso proprio dai margini. Per questo credo che bisognerebbe avere maggiore attenzione alle periferie delle nostre città: sono tante le aree degradate e di disagio sociale nel nostro Paese. La cultura non deve latitare in queste zone, anzi deve essere incrementata attraverso l'individuazione di spazi, beni immobili dismessi, progetti culturali e sociali per creare reti di buone pratiche.






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